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Dragaggio del porto di Ortona, Legambiente e WWF: “Un inaccettabile attacco all’Area Marina Protetta Torre del Cerrano”

Riceviamo e pubblichiamo:

“Un attacco feroce alla biodiversità che il parco tenta di tutelare”: così Pietro Palozzo, membro del CdA dell’Area Marina Protetta Torre del Cerrano, ha definito la sciagurata autorizzazione che il Servizio Gestione Rifiuti della Regione Abruzzo ha concesso ieri per lo sversamento in mare di sedimenti derivanti dai lavori di dragaggio del porto di Ortona in una zona pressoché contigua all’AMP e al coincidente Sito di Interesse Comunitario. Una opinione certamente condivisibile.
Il WWF, che aveva presentato anche osservazioni in opposizione a questa scelta, e Legambiente ribadiscono la propria contrarietà e ritengono le prescrizioni imposte nella delibera regionale insufficienti a garantire la tutela del mare, meno che mai nei prossimi mesi, quando la gran parte degli organismi marini affronterà la delicata stagione riproduttiva e alla vigilia del periodo balneare, il più prezioso per l’economia dei territori coinvolti.
Riepiloghiamo i fatti: il progetto al quale la Regione ha ora concesso il proprio assenso prevede lo sversamento in mare di ben 342.694 mc di sedimenti di dragaggio provenienti dal porto di Ortona nel sito denominato ABR01D, nei pressi del SIC IT7120215 “Torre del Cerrano” e dell’omonima e coincidente Area Marina Protetta. Le distanze sono veramente minime: appena 6 km dal confine dell’AMP e 2,5 km dalla zona contigua di protezione esterna. I potenziali effetti negativi sono enormi, in particolare per il fatto che la quantità di sabbia che dovrebbe essere sversata è immensa e già solo i danni da soffocamento potrebbero essere rilevantissimi. A questo vanno aggiunti i risvolti negativi per il turismo, con un vulnus economico rilevante per una vasta parte del territorio costiero regionale. Non a caso si stanno in queste ore valutando azioni giudiziarie.
WWF e Legambiente da tempo parlano di “una scelta sbagliata, assunta senza tenere in alcun conto i possibili danni che si possono determinare in un ambiente tutelato”. Le due associazioni hanno anche denunciato il fatto che a corredo di questa ipotesi progettuale non ci sono stati sufficienti approfondimenti e che non è stata neppure effettuata l’obbligatoria procedura di VINCA, che non può in alcun modo essere esclusa in base a quella che è la normativa vigente, come confermato da ampia giurisprudenza.
È vero che nel 2011 nello stesso sito vennero depositati materiali dragati dal porto di Pescara, ma si tratta di un precedente di scarso significato: le quantità interessate allora erano infatti enormemente inferiori: 72.621 mc a fronte degli attuali 342.694 mc, ma soprattutto all’epoca non era stata ancora
istituito il SIC e non esistevano quindi le misure di tutela oggi in vigore, a cominciare proprio dalla VINCA.
Il fatto che siano state imposte prescrizioni conferma che si dovrebbe operare in un sito delicato, ma nel contempo non si può non osservare che si tratta di prescrizioni insufficienti: monitoraggio acustico e dell’aria, controllo del moto ondoso e dei venti, sversamenti solo nel periodo di fermo-pesca, riduzione per quanto possibile dell’intorpidimento delle acque, modalità di rilascio dei fanghi ecc. appaiono più come consigli di buon senso, cui chiunque operi in mare dovrebbe sottostare, piuttosto che come reali garanzie di tutela ambientale. Tra l’altro chi potrà mai controllare che tali prescrizioni vengano rispettate davvero e chi stabilità quale sia la “rilevante entità” dei venti e dei moti ondosi in base alla quale gli sversamenti dovrebbero essere evitati?

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