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Vivere a l’Aquila a 8 anni dal sisma

Da Legambiente riceviamo e pubblichiamo:

Ogni anno diventa più difficile, ogni anno ci sono cose che siamo contenti di raccontare e altre che vorremmo non dover raccontare e soprattutto vivere sulla nostra pelle. Ma ogni anno è un anno in più e questo è un anno particolare.
Soprannominata la “Regina degli Appennini”, nel 2009 L’Aquila aveva 72.988 residenti ma arrivava a contare una presenza giornaliera sul territorio di quasi 100.000 persone per studio, attività terziarie, lavoro e turismo. Ad oggi l’ISTAT ha rilevato circa 70.000 residenti nella città e nelle frazioni, ma il dato fa fede alla residenza, e non tiene conto delle tante famiglie che hanno scelto di vivere altrove mantenendo la residenza a L’Aquila per svariate ragioni tra cui la paura per le nuove scosse che quest’anno hanno interessato anche la nostra città e la crescente disoccupazione e crisi sociale ed economica.
Quest’anno, Legambiente ha voluto, attraverso un approfondimento dal titolo: “Visita guidata a L’Aquila. Vi raccontiamo la città a 8 anni dal sisma”, fare il punto sullo stato della ricostruzione edilizia e sociale.
“Questo dossier non è stato pensato per noi che a L’Aquila viviamo ogni giorno – dichiara la Direttrice Legambiente Abruzzo, Francesca Aloisio – ma come racconto per chi non la vive o peggio rischia di dimenticare la nostra bella Regina degli Appennini. Abbiamo cercato di raccontare la città a 8 anni dal sisma con alcune testimonianze di vita quotidiana: quella di un commerciante, di una mamma aquilana che racconta il disagio sociale dei più piccoli, di un pensionato e delle difficoltà che ogni giorno incontra per spostarsi da una parte all’altra della New Town, e di una studentessa universitaria pendolare dentro la città. La vita di ogni giorno che va avanti dentro la speranza della grande rinascita.”
Poi l’approfondimento entra nel vivo dell’analisi dei dati riguardanti la situazione delle scuole e la cosiddetta generazione terremoto, il futuro incerto dell’università dell’Aquila (con il calo vertiginoso, di circa il 72%, delle immatricolazioni nell’A.C. 2015-2016 rispetto al 2008-2009) e il desolante Piano C.A.S.E. Qui all’Aquila e frazioni negli alloggi post sisma (C.A.S.E.e M.A.P.) si trovano ancora poco più di 10mila sfollati e negli ultimi due anni circa il numero delle persone che ha lasciato il Progetto Case e i Map è sceso del 30%. Chi rimane in queste abitazioni per lo più è residente dei centri storici della città dell’Aquila e delle frazioni in attesa di poter tornare a casa propria. L’approfondimento si conclude poi con alcune proposte per il rilancio del cratere sismico aquilano da parte di Legambiente.
Viviamo dal giorno dopo il 6 aprile 2009 con la voglia di vedere rinascere questa città. Dopo una prima fase di recupero della periferia finalmente si sta lavorando in centro storico e piano piano cominciamo a riappropriarci di alcuni strade e palazzi che, in tutta la loro rinnovata bellezza, si affiancano a quelli che ancora portano i segni di quella notte. Nel frattempo le persone sono cambiate: dopo il terremoto in tanti erano andati a vivere nelle case lungo la costa o in campagna, promettendo di tornare. Ma non tutti sono tornati. In compenso, la gente continua ad andare via, ecco perché la ricostruzione edilizia deve andare di pari passo con la ricostruzione di un tessuto sociale ed economico oggi ferito.
“L’Aquila 2017 è ancora una città ‘in frammenti’ – prosegue la Direttrice – con strade chiuse, edifici e abitazioni transennati e ancora pericolanti, un centro storico che in molte sue parti è rimasto zona rossa. Tornare alla normalità sembra essere una sfida difficile ma non impossibile. Noi crediamo nella rinascita di questa città”.

 

Visita guidata a L’Aquila
Vi raccontiamo la città a 8 anni dal sisma

Soprannominata la “Regina degli Appennini”, nel 2009 L’Aquila aveva 72.988 residenti ma arrivava a contare una presenza giornaliera sul territorio di quasi 100.000 persone per studio, attività terziarie, lavoro e turismo. La vita girava intorno al centro storico, ogni mattina a Piazza Duomo si svolgeva il mercato, nei vicoli del centro erano collocati gli uffici pubblici, alcune scuole e diverse sedi universitarie. Poi il 6 aprile 2009, alle 3.32 tutto è cambiato, dopo diversi mesi di scosse localizzate e percepite in tutta la zona dell’aquilano, L’Aquila è stata colpita da un terremoto di magnitudo 6.3 Mw, che ha portato la morte di 309 persone e danni ingenti. I bambini nati nel 2009 vivono oggi in una città estranea ai loro genitori e molti di quelli che avevano 13-14 anni all’epoca si sono trasferiti appena dopo il sisma. Difficile essere ragazzi in una città che sembra tutta una brutta periferia. Il centro cittadino è pressoché abbandonato e la maggior parte delle attività commerciali che hanno avuto la forza economica di riaprire sono concentrate in impersonali centri commerciali. Le 19 News Town realizzate in zone esterne all’abitato del 2009 e nelle frazioni oggi sono quartieri dormitori e in alcune mancano nelle vicinanze farmacie, supermercati o sportelli postali. Ad oggi l’ISTAT ha rilevato circa 70.000 residenti nella città e nelle frazioni, ma il dato fa fede alla residenza, e non tiene conto delle tante famiglie che hanno scelto di vivere altrove mantenendo la residenza a l’aquila per svariate ragioni e perché probabilmente ancora proprietari di immobili che necessitano del contributo per la ricostruzione.
Siamo tutti abituati a osservare, ammirare, le rovine che ci raccontano un tempo magico, lontano, i Fori Imperiali, Pompei, Sarajevo. Eventi lontani temporalmente e geograficamente che non sono accaduti a noi, che non ci toccano davvero. Ma qui a L’Aquila le rovine, sono una zavorra, un problema politico, qualcosa che ha fatto sfregare le mani ai più disonesti e allontanare molti che qui ci erano nati. Oggi arrivare in Piazza Duomo è una sfida verso se stessi e chi resta come noi cerca di evitare la retorica del terremoto. Ha imparato invece a cogliere le cose che ci sono in più, rispetto a un anno prima. Proviamo a immaginare la città come sarà tra 8 anni e non a ricordare come era 8 anni fa. Ci sforziamo di rovesciare la prospettiva, ogni giorno anche per arginare la fatica del vivere quotidiano. Sì, la vita continua a essere faticosa a L’Aquila ma non vogliamo una seconda Pompei.
A ormai 8 anni dal terremoto, negli alloggi post sisma (C.A.S.E.e M.A.P.) si trovano ancora poco più di 10mila sfollati e negli ultimi due anni circa il numero delle persone che ha lasciato il Progetto Case e i Map è sceso del 30%. Chi rimane in queste abitazioni per lo più è residente dei centri storici della città dell’Aquila e delle frazioni in attesa di poter tornare a casa propria; in molte frazioni infatti la ricostruzione non è neanche iniziata, nel 2016 a fronte di 120 contributi emessi i cantieri realmente partiti sono una decina. Così come ancora non parte la ricostruzione pubblica e quella delle scuole, mentre per la ricostruzione degli edifici privati sono stati richiesti 10,5 miliardi e ne sono stati erogati circa 4,4 miliardi.
Il disagio sociale è fortissimo, il terremoto ha prodotto 5 mila nuovi poveri (dati ISTAT), persone che hanno perso il lavoro o che comunque non riescono a trovare un’adeguata collocazione occupazionale. I tempi lunghi della ricostruzione e la mancanza di una vera programmazione stanno portando molti residenti ad abbandonare la città e le sue frazioni.

 

 

Storie di vita quotidiana

Peppe, titolare di una attività commerciale in centro storico.

“Nel centro storico e non solo, si respira un’aria di precarietà, ma anche la forza di andare avanti. Il cuore cittadino si è di nuovo spopolato dal 24 agosto, il giorno in cui il terremoto ha distrutto Amatrice, precipitando di nuovo la città nell’incertezza appena superata del post-sisma. Incertezza poi aggravata dagli altri terremoti del centro Italia e da quello del 18 gennaio, con le dichiarazioni della Commissione Grandi Rischi che ha paventato la possibilità di una forte scossa proprio nel territorio aquilano già colpito e nel centro Italia in generale. Ogni mattina non sappiamo se troveremo parcheggio o se troveremo aperta la strada che facciamo abitualmente per raggiungere la nostra attività. Senza illuminazione e con la torcia se rientri tardi la sera o esci presto la mattina. Ma ci siamo. Col silenzio assordante che dalle 17.00 in poi ci avvolge.”

Claudia, mamma di 3 figli.

“Essere mamme non è mai un’impresa facile. Esserlo a L’Aquila, forse, complica ancora di più le cose, considerando la carenza di luoghi di aggregazione soprattutto per i più piccoli. Se prima del sisma molti bambini prendevano i mezzi pubblici o andavano a piedi a scuola oggi non è più così. Oggi una mamma che abita in un progetto case ad ovest della città per portare il figlio a scuola impiega circa un’ora tra andare e tornare e spesso gli autobus non hanno orari compatibili con l’ingresso dei bambini. Nel pomeriggio si cerca di far fare tante attività ai ragazzi, non avendo altri luoghi d’aggregazione, ma anche in quel caso un genitore deve accompagnarli con la macchina. I nostri bambini hanno memoria solo di questa realtà e trasportati istericamente da una scuola ad una palestra e da un dopo scuola ad una piscina conoscono solo lo spostamento su gomma, i loro punti di incontro sono le scuole che per fortuna e grazie a stupende maestre, che si sono reinventate il loro ruolo, riescono a coinvolgerli in mille attività alternative”

Carlo, pensionato 81 anni.

“La mattina, quando esco dal progetto CASE assegnatomi in realtà non saprei dire quando riuscirò a tornarvi. L’insufficienza e l’inadeguatezza dei mezzi di trasporto pubblico sono un grande problema per chi come me non ha più la patente. Ma uscire è fondamentale anche perché questo non è il mio quartiere, i mei amici e i miei parenti non abitano vicino a me. Però qui non ci sono supermercati e devo prendere i mezzi per arrivarci e non c’è una piazza dove passeggiando incontro per caso qualche amico, come prima a Piazza Duomo. Ora telefono a qualche amico e magari ci vediamo al centro commerciale, che lì l’autobus ci arriva. Ma il momento più brutto è la sera. Molti miei amici sono morti nel silenzio più totale, in quel dramma della solitudine che in questa città ha coinvolto giovani e meno giovani”
Martina, studentessa universitaria fuori sede.”
Si inizia la giornata con la consapevolezza che per fare 7/8 chilometri dalla zona est della città al Polo universitario di Coppito, con i mezzi pubblici ci impiegherei quasi lo stesso tempo che impiegano i miei colleghi a venire da Avezzano, facendo a volte anche due cambi. Perché in questi anni è aumentato il costo del biglietto ma non il numero di corse per raggiungere le Università dislocate in più punti cittadini. Anche gli studenti più fortunati, come quelli di Scienze e Medicina, che sono ancora nei loro edifici in muratura del pre sisma e hanno ancora i laboratori, poi hanno il problema di tutti gli altri a ora di pranzo, non ci sono mense, almeno che non si riesce a trovare posto nel piccolo container posto vicino all’ospedale, che però è freddo d’inverno, più volte si è gelata l’acqua nei tubi costringendo la direzione a chiuderlo e caldo d’estate. Dicono che all’Università siano arrivati diversi fondi e finanziamenti nel post sisma, peccato che non sembra siano stati usati per implementare laboratori o attrezzature, ma per finanziare progetti di durata a volte annuale. Pochi sono gli spazi per studiare, i pc a disposizione e dopo la chiusura della Biblioteca Provinciale e il collocamento dell’Archivio di Stato nella zona industriale di Bazzano, è molto difficile trovare un posto per studiare nel pomeriggio quando non ho lezione. La vita extra-accademica la sera negli anni per noi studenti sia autoctoni che fuori sede, è andata piano piano impoverendosi, si ci sono tanti pub, bar e locali, e sono invece molto diminuite le occasioni di andare al teatro o a sentire un concerto. Così la sera spesso preferiamo incontrarci in casa di amici piuttosto che andare in centro, dove i cantieri e la scarsa illuminazione la fanno da padrone”.

 

Dati ricostruzione L’Aquila

Un’analisi dei dati economici sulla ricostruzione della città dell’Aquila, ci lascia immaginare il ritorno nel centro storico lontano decenni. Ricostruzione pubblica, ricostruzione privata, ricostruzione delle frazioni e ricostruzione dei comuni del cratere, sono i volumi che compongono l’enciclopedia della ricostruzione, ognuno composto da capitoli normativi e burocratici lunghi e farraginosi. La sua già difficile lettura viene ulteriormente complicata dalla mancanza di un piano di ricostruzione organico e prioritario ad ogni intervento che consenta al ricostruito di tornare ad essere vissuto. Da dicembre 2016, per raccontarne una, settanta famiglie non possono rientrare nelle proprie abitazioni, edifici abbattuti e ricostruiti, perché su di esse incombe a pochi metri quel che resta in piedi della casa dello studente, mai puntellata, mai abbattuta e il rischio di crollo sui nuovi edifici e i suoi abitanti è altissimo.
Percorrendo quello che è stato definito l’asse centrale della ricostruzione (la strada che attraversa il centro storico da nord a sud), è evidente l’alternanza tra edifici in cui i lavori sono conclusi ed edifici nelle stesse condizioni del 6 aprile 2009. Inoltrandosi tra i vicoli che si diramano dall’asse centrale, non è raro imbattersi in alberi e arbusti cresciuti tra le macerie.

Subito dopo l’evento sismico del 2009, è stata effettuata un’analisi del danno sugli immobili; da questa è risultato che il 22% degli edifici presentava importanti danni di tipo strutturale, quindi classificati con la lettera E ovvero totalmente inagibili. Il 5% degli edifici è stato classificato come C, ovvero parzialmente inagibile, il 28% come B, cioè inagibile temporaneamente (in tutto o in parte) e il 45% classificato come A, ovvero agibile (Fig. 1). I dati acquisiti sono stati validi fino alle scosse di gennaio 2017, e sono stati la guida per erogare i contribuiti per i lavori di ricostruzione o riparazione degli immobili; oggi non abbiamo una nuova stima degli deifici agibili, visto che ancora non sono conclusi i controlli dopo il sisma che ha interessato di nuovo queste zone nel gennaio di quest’anno.

Fig. 1: Grafico relativo alla classificazione degli edifici in base al danno. Edifici classificati come A hanno riportato danni non strutturali; procedendo con B, C ed E il danno aumenta fino a prevedere, nel caso E in cui il danno è strutturale, anche l’abbattimento dell’edificio. (Rielaborazione Legambiente di dati USRA ).

Fig. 2: Grafico relativo alla spesa per la ricostruzione privata. L’Importo richiesto si riferisce al costo relativo al progetto presentato agli enti competenti. L’Importo finanziato si riferisce ai costi effettivamente riconosciuti come erogabili. L’importo erogato si riferisce ai costi effettivamente sostenuti e liquidati (Rielaborazione Legambiente di dati USRA dicembre 2016).

Per la ricostruzione degli edifici privati, fino a dicembre 2016, sono stati presentati progetti per una richiesta di contributo di circa 10,5 miliardi; ciò che è stato riconosciuto come costo effettivo ammonta a circa 6,5 miliardi, di cui ne sono stati erogati circa 4,4 miliardi (Fig.2).
La ricostruzione della periferia della città dell’Aquila, che è iniziata nel 2009, è sostanzialmente conclusa, facilitata anche dalla tipologia degli edifici, di cui nessuno soggetto a vincolo di interesse storico artistico. Completamente differente il dato del centro storico, in cui la ricostruzione è effettivamente partita nel 2014, con tutte le difficoltà vincolistiche e logistico-operative di un impianto medievale. Stiamo parlando di un patrimonio edilizio immenso, stimato in circa 1900 edifici vincolati( dato SABAP-AQ), di enorme valore storico, architettonico, culturale e religioso. Di conseguenza la spesa sostenuta per intervenire su strutture di questo tipo, con un ingente danno strutturale classificato come E, è la fetta maggiore dei contributi erogati (fig. 3).

Fig. 3: Ripartizione della spesa sostenuta per tipologia di edifici. La maggior parte dei fondi, 81%, sono stati destinati ad edifici classificati come E. (Rielaborazione Legambiente di dati USRA dicembre 2016).

Se la ricostruzione dell’Aquila procede a rilento, quella del cratere è in una fase di stallo. Molti dei comuni e delle frazioni, non hanno ancora presentato il piano di ricostruzione, strumento programmatico minimo per iniziare gli interventi e tra quelli presentati ancora non è ufficiale il numero di quelli approvati (Fig. 4).

Fig. 4: Andamento annuale dei contributi erogati in base alle aree di definizione. (Rielaborazione Legambiente di dati USRC dicembre 2016).

Nel 2016 a fronte di 120 contributi emessi per pratiche riguardanti aggregati delle frazioni, per un totale di 70 milioni di euro, i cantieri realmente partiti sono una decina. Per rendere l’idea delle dimensioni del cratere, basti pensare che di circa 140.000 persone sfollate dopo il sisma, la metà era residente nella città dell’Aquila e la restante negli altri comuni del cratere.
Il volume ricostruzione pubblica è ancora tutto da scrivere. I dati ufficiali mostrano fondi erogati pari al circa l’8% rispetto a quelli erogati per la privata. Nel novero degli interventi in fase di attuazione c’è il cantiere dei sottoservizi, il più grande appalto pubblico del post sisma, con un finanziamento pari ad 80 milioni di euro. L’idea di smart city, inneggiata e favoleggiata, ha prodotto la progettazione di un tunnel sotterraneo, ispezionabile a piedi, che percorre le vie principali della città, all’interno del quale passeranno i principali servizi: rete fognaria, elettricità e comunicazione. Lo smart tunnel servirà 2354 utenze, saranno rimossi durante i lavori 77150mq di sampietrini. Il lavori sono iniziati a fine 2015 e prevedono la cantierizzazione di 8 aree urbane, per un totale di 12,5 Km.

Fig. 5: Grafico relativo alla spesa per la ricostruzione pubblica. L’Importo richiesto si riferisce al costo relativo al progetto presentato agli enti competenti. L’Importo finanziato si riferisce ai costi effettivamente riconosciuti come erogabili. L’importo erogato si riferisce ai costi effettivamente sostenuti e liquidati (Rielaborazione Legambiente di dati USRA dicembre 2016).

Su un totale di 406 progetti presentati nel comune dell’Aquila, 81 sono al collaudo e 158 conclusi. Bisogna tener presente che tra le opere pubbliche rientrano anche interventi su infrastrutture e di manutenzione straordinaria. Per approfondire l’analisi sulla ricostruzione si può visitare il sito dell’USRA (progetto WebGis).

 

Scuole

Sono 3500 i bambini, soprattutto della scuola primaria e secondaria, che all’Aquila e frazioni seguono ad oggi le lezioni nei cosiddetti MUSP (Moduli ad Uso Scolastico Provvisori) realizzati tra il 2009 e il 2010. È la cosiddetta “Generazione T” (generazione terremoto) ribattezzata anche “Generazione container”: si tratta dei bambini nati dopo il 2008 che non hanno mai fatto lezione in un istituto in muratura, le scuole che frequentano sono in realtà moduli prefabbricati. Non hanno mai conosciuto che cosa significhi vivere senza scosse, sanno tutto sui piani di evacuazione e su come mettersi in salvo quando c’è un’emergenza e, forse anche per questo, tra il mattone e la latta non hanno dubbi: scelgono la latta.
Dopo il sisma del 6 aprile 2009, i diversi istituti scolastici sono stati infatti ospitati in questi “Moduli ad Uso Scolastico Provvisori”. Stando agli ultimi dati disponibili (2011), consultabili sul sito della protezione civile, sono 25 i Musp dislocati tra Aquila e frazioni, 22 ospitano asili nido, scuole dell’infanzia, primarie e secondarie di primo grado, 3 scuole secondarie di secondo grado.
Non esiste ad oggi una vera e definitiva programmazione della ricostruzione degli edifici scolastici comunali. Non c’è ancora un edificio che sia stato ricostruito e non è stata indetta nemmeno una gara d’appalto. Al momento, gli unici edifici scolastici dove si è avviata o conclusa la progettazione preliminare (ma solo quella) sono la scuola primaria di Arischia, la scuola primaria di Pettino “Mariele Ventre”, la scuola primaria di Coppito e la scuola d’infanzia di S. Sisto.

Otto anni dopo le scuole riaperte si sono scoperte fragili e indifese all’improvviso dopo le scosse che dal 24 agosto in poi stanno devastando l’Italia centrale. Il caso del Liceo Classico Cotugno, forse è il più emblematico, e a prescindere dagli elementi tecnici sulla vulnerabilità sismica dell’edificio, un dato è eloquente: dal 6 marzo i 1200 studenti del liceo sono stati distribuiti su tre sedi diverse di altri istituti. Gli studenti non andavano più a scuola dopo le sciame sismico che ha interessato la città il 18 gennaio scorso. Tutto è nato dal fatto che uno studio di vulnerabilità del 2013 aveva riscontrato una serie di anomalie sulle risposte a sollecitazione nei carichi verticali dei corpi F e G dell’edificio. Come per tutte le altre scuole, non sono stati fatti interventi per adeguare sismicamente la struttura e gli studenti hanno frequentato le lezioni nell’edificio dal 2009 ad oggi. Ora, dopo aver fatto per un mese i doppi turni pomeridiani in un altro istituto gli studenti devono rientrare nella loro scuola e le aree non a norma sono state semplicemente transennate con nastri rossi e bianchi. Il liceo sta già perdendo studenti a causa della situazione di disagio e incertezza che si è creata, anche per il prossimo anno scolastico. Così nel febbraio scorso alcuni genitori ed insegnanti hanno costituito il comitato “Scuole Sicure” per vigilare sullo stato dell’edilizia scolastica cittadina.

Ma non è l’unico, anche l’Istituto Alberghiero porta ancora i segni del sisma 2009; parte dell’edificio, il corpo centrale, è inagibile dal terremoto del 6 aprile 2009, ulteriormente compromesso dalla scossa del 24 agosto scorso ad Amatrice (Rieti) e ancor di più da quella di Norcia (Perugia) del 30 ottobre e del 18 gennaio per ovviare vi è stato costruito vicino un Musp dove si svolgono alcune delle lezioni. Ancora non si vede però una soluzione per il corpo centrale della sede di via Monte San Rocco, che incombe sulla parte bassa della scuola e per questo a novembre aveva costretto ad una chiusura temporanea dei laboratori, poi riaperti grazie ad un intervento di messa in sicurezza da parte dei vigili del fuoco. Inoltre la mancanza della palestra costringe gli studenti a spostamenti con mezzi pubblici per fare le ore di attività fisica in un’altra struttura lontana dall’istituto. Il fabbisogno per ricostruire è di 100 milioni di euro, di cui 73 già finanziati con interventi anche complessi come quello che sta seguendo il Provveditorato alle opere pubbliche sulla scuola De Amicis (16 milioni) e scuola Mazzini.
Di qui ai prossimi anni speriamo che partiranno altri cantieri, mentre altri sono in progettazione o in appalto. Anche se non tutte le scuole dell’Aquila torneranno a essere tali: nasceranno delle strutture che accorperanno più plessi scolastici e gli edifici che resteranno liberi saranno destinati alle attività sociali e aggregative, nel centro storico così come nelle frazioni, sulla stessa scia del progetto Memo (Menti in movimento) con cui giovani aquilani hanno proposto di trasformare l’asilo Don Bosco in un centro di aggregazione giovanile
Nel resto dell’Abruzzo le cose non vanno meglio, un recente studio del Centro Operativo Regionale dava per inagibili il 35% delle scuole abruzzesi, in particolare nella sola provincia di Pescara sono inagibili 12 scuole su 23 ispezionate e nel Teramano 70 su 194. Se consideriamo che questo dato è relativo a dicembre 2016, siamo certi che a seguito dello sciame sismico di gennaio altri edifici saranno giudicati inagibili.

L’Università

Le cose non vanno bene neanche per l’Università dell’Aquila. (L’Università ha cinque Dipartimenti afferenti a ambiti sia scientifici che umanistici, poi in città c’è l’Accademia di Belle Arti con 7 scuole d’indirizzo e il Conservatorio). Nell’anno accademico 2015-2016 l’Ateneo ha registrato un calo del 72% delle immatricolazioni rispetto a quelle del 2008-2009. Ma facciamo un passo indietro. Prima del terremoto, l’Ateneo del capoluogo abruzzese vantava nell’A.C 2008-2009 ben 23.516 iscritti di cui 6289 immatricolati, numeri alti per una città universitaria ambita e pregiata. Dopo il sisma del 2009 e la tragedia della Casa dello Studente, si è registrato un lieve calo delle iscrizioni e delle immatricolazioni che, per fortuna, ha subito una battuta d’arresto negli anni successivi, grazie anche alla detassazione e all’esenzione dal pagamento delle contribuzioni universitarie, garantita dopo il terremoto dall’accordo di programma fra l’Ateneo e il MIUR. Oltre all’esonero dai contributi universitari e alla gratuità dei trasporti, tra i fattori che hanno dato impulso a nuove iscrizioni c’è anche la mancata introduzione del numero programmato in alcuni corsi di laurea, presente invece negli altri atenei italiani. Ciò ha richiamato nel capoluogo abruzzese tantissimi ragazzi e nell’anno accademico 2012-2013 l’Ateneo ha registrato un record di immatricolazioni, ben 7.363, – il più alto negli ultimi 9 anni, dal 2008 al 2016, con un incremento del 17% delle immatricolazioni rispetto al 2008-2009 – e un aumento degli iscritti (24.769). In alcuni casi, stando ai dati del Miur, è aumentata in particolare la quota di provenienza extra-regionale, che ha raggiunto prima il 54% e poi l’80% del totale degli immatricolati.

Non appena l’accordo degli incentivi concessi dal Miur per il post terremoto è cessato, (ciò è avvenuto nel 2014), il numero delle iscrizioni e immatricolazioni è cominciato a calare. E così già a partire dall’anno accademico 2013-2014 l’Ateneo ha registrato un crollo del 51% delle immatricolazioni, passate da 7.363 (2012-2013) a 3.553, stessa cosa per le iscrizioni complessive che sono scese da 24.769 a 23.926. Negli accademici successivi il calo delle iscrizioni e delle immatricolazioni si è ulteriormente accentuato: le iscrizioni sono scese addirittura a 18.063 e le immatricolazioni a 1741, un calo del 72% rispetto alle immatricolazioni dell’anno accademico 2008-2009 e del 76% rispetto a quelle del 2012-2013 (anno record delle immatricolazioni nel periodo 2008-2016).

Per Legambiente il calo delle iscrizioni e delle immatricolazioni è anche legato al fatto che diverse sedi risultano inagibili e che i servizi, a 8 anni dal sisma, restano carenti. Ad esempio gli studenti del polo universitario di Coppito, quello dove hanno sede molte facoltà scientifiche, sono costretti ancora ad andare a mensa e al bar nei container perché il centro polifunzionale dell’Adsu che li ospitava, insieme ad aule studio e spazi ricreativi, è ancora inagibile e transennato. Quei container, per i quali l’azienda paga la bellezza di 40 mila euro l’anno di affitto, sono un pessimo biglietto da visita per l’ateneo specie in un momento in cui non si fa altro che discutere su come l’unico modo per rendere L’Aquila più attrattiva come città universitaria sia aumentare e migliorare i servizi offerti agli studenti (trasporti, mense, residenzialità).
Non solo le sedi sono inagibili ma anche i servizi sono molto carenti, gli studenti del polo universitario di Coppito, ad esempio, quello dove hanno sede molte facoltà scientifiche, sono costretti ancora ad andare a mensa e al bar nei container perché il centro polifunzionale dell’Adsu (foto) che li ospitava, insieme ad aule studio e spazi ricreativi, è ancora inagibile e transennato. Quei container, per i quali l’azienda paga la bellezza di 40 mila euro l’anno di affitto, sono un pessimo biglietto da visita per l’ateneo specie in un momento in cui non si fa altro che discutere su come l’unico modo per rendere L’Aquila più attrattiva come città universitaria sia aumentare e migliorare i servizi offerti agli studenti (trasporti, mense, residenzialità). Il centro polivalente Adsu di Coppito venne classificato, subito dopo il terremoto, inagibile, di classe E (con danni strutturali, secondo la dicitura). Per la sua riparazione venne redatto un computo metrico da 3,6 milioni di euro. Contestualmente, però, né la Regione né il governo stanziarono risorse ad hoc per gli immobili di proprietà dell’Adsu, eccezion fatta per la caserma Campomizzi, che venne adeguata e resa idonea a ospitare la nuova casa dello studente con i soldi e l’intervento della Protezione civile.
Nel pomeriggio del 17 marzo, sono stati transennati con nastro bianco e rosso diversi uffici del piano “zero” della importante sede dell’Università dell’Aquila, Coppito 2. Gli uffici e i laboratori fanno parte dei dipartimenti Medicina clinica, sanità pubblica, scienze della vita e dell’ambiente (Mesva) e Ingegneria e scienze dell’informazione e matematica (Disim). Già nelle scorse settimane era stata interdetta una zona nel piano inferiore, in corrispondenza di alcuni laboratori e dello stabulario interdipartimentale.

 

Progetto C.A.S.E

Il sisma del 2009 ha colpito 37 comuni della Provincia dell’Aquila, di cui 11 hanno riportato maggiori danni e perdite di vite umane, la popolazione di questi 11 comuni ammontava 86.808 abitanti, di cui 72.988 erano solo i residenti nel Comune di L’Aquila. Il numero massimo della popolazione assistita nel 2009 è stato di 67.459 persone, pari al 78% dei residenti nel cratere (dati ISTAT).
Al 28 febbraio 2017 gli sfollati, secondo i dati forniti dal Comune di L’Aquila, ancora assistiti nei Progetti CASE, sono 8.627 e nei MAP (moduli abitativi provvisori) delle frazioni 2.227. Nel conteggio della popolazione assistita sono inclusi anche gli assegnatari dei bandi su fragilità sociali, giovani coppie, nuclei monoparentali, associazioni sportive, di volontariato, e 94 famiglie terremotate del 2016 nei territori dell’Appennino centrale. Il Progetto Case (complessi antisismici sostenibili ed ecocompatibili) consta di 185 edifici realizzati in 19 nuovi insediamenti (New Town) dislocati nelle periferie e nelle aree industriali. Aree individuate dalla Protezione Civile durante la fase emergenziale distribuite in un territorio molto vasto e pertanto impossibili da raccordare tra loro, pregiudicando la forma della futura città e soprattutto il suo impianto sociale, rendendo più difficoltosi i legami personali e di comunità. A 8 anni dal sisma la maggior parte delle New Town lamenta ancora la mancanza di luoghi di ritrovo in prossimità degli insediamenti e l’insufficienza di servizi di trasporto in particolare nelle ore serali e notturne e nei giorni festivi o non scolastici. i cittadini che dipiù risentono di questa situazione sono i giovani tra i 18 e 30 anni e gli anziani.
Durante un’indagine condotta nel 2010 (patrocinata dal Collettivo99 www.collettivo99.org), sono state sottoposte alcune domande alle persone che abitano il Progetto Case di Cese di Preturo. Alla domanda “cosa ti manca del tuo vecchio quartier?” il 69.44% ha risposto il vicinato e il 21.4% i negozi e i locali che frequentavo. Da questo dato emergenze l’importanza rivestita dalla prossimità di servizi primari ma soprattutto la difficoltà di mantenere i rapporti con i parenti e amici; definendo il Progetto CASE un “quartiere dormitorio”. Non è un caso dunque se tra le principali accuse lanciate dai comitati cittadini al Progetto CASE vi è quello di essere un complesso edilizio poco fondato sui bisogni reali dei cittadini. Le persone che ci vivono sono state assegnate a un insediamento o all’altro senza tenere molto in considerazione criteri quali il luogo di residenza prima del sisma e la vicinanza al posto di lavoro, dando solo in un secondo momento la possibilità di un ulteriore trasferimento. Coloro che oggi abitano ad esempio a Sassa non provengono necessariamente da Sassa, ma sono arrivati nella fase post sisma, ritrovandosi a condividere quegli spazi con altre famiglie in possesso di case inagibili classificate E in tutto il cratere sismico.

Dal 16 gennaio 2012, le attività esecutive relative all’assistenza alla popolazione post-sisma sono gestite direttamente dal Comune dell’Aquila.
Le opere di urbanizzazione per realizzare i Progetti CASE sono state massicce. Nel Dossier Case – Complessi Antisismici Sostenibili ed Ecocompatibili redatto dalla Protezione Civile si parla di
• 22 km di strade
• 13,7 km di acquedotti
• Oltre 50 km di condotti fognari per acque bianche e nere
• 46 cabine elettriche
• Più di 16 km di condotte per l’acqua potabile
• 7 nuove centrali telefoniche
• Circa 2000 pali di illuminazione pubblica e per il verde
Per un totale di 1.600.000 mq di superficie occupata comprensiva delle opere di urbanizzazione, con strade, parcheggi e aree verdi. Ogni edificio è stato realizzato con un costo medio di 1.314€ al mq.

In questi anni i Progetti Case sono stati anche teatro di frodi e incidenti.
Almeno duecento degli isolatori sismici a pendolo montati sui pilastri che sostengono i 185 edifici del progetto “C. a. s. e.” (Complessi antisismici eco-compatibili) sono destinati a sbriciolarsi se mai la terra dovesse tornare a tremare come quel 6 aprile, costruiti “in frode” alle specifiche che erano state indicate dal bando di gara per l’assegnazione dell’appalto. Una commessa da 7 milioni di euro che vide vincitrici la società Alga (4.900 gli isolatori forniti) e la Fip (2.400).
Per scoprirlo è stata necessaria l’ostinazione del pubblico ministero Fabio Picuti e del gip Marco Billi, nonché il lavoro di un anno dei docenti di ingegneria Alessandro De Stefano e Bruno Chiaia, i due periti di ufficio incaricati di verificare se, appunto, i “pendoli” sistemati sotto i 185 edifici antisismici rispondessero effettivamente ai requisiti fissati dal bando di gara e, soprattutto, se fossero efficienti.
Nell’aprile del 2016 un balcone in legno si è staccato dal terzo piano finendo su quello sottostante. Un crollo avvenuto “per cedimento strutturale” in un appartamento del progetto “Case” di Cese di Preturo (L’Aquila). Si tratta di un complesso già sgomberato e sequestrato in seguito all’inchiesta della Procura aquilana scattata dopo episodio analogo accaduto nel settembre 2014 in un alloggio vicino. A finire nei guai, con le accuse – a vario titolo – di truffa aggravata ai danni dello Stato da 18 milioni di euro, frode nelle pubbliche forniture e falso in atto pubblico, tutti coloro che hanno partecipato alla filiera autorizzativa e di costruzione del progetto “Case”, tra cui dirigenti e tecnici comunali oltre agli imprenditori che hanno vinto l’appalto, progettisti e collaudatori. Purtroppo il processo non è ancora arrivato a sentenza e pochi giorni fa il gip del tribunale di L’Aquila, Guendalina Buccella, ha disposto il trasferimento a Piacenza dove è in atto un altro processo per il filone di inchiesta legata al legno utilizzato da un’azienda piacentina. L’inchiesta portò al sequestro di circa 800 balconi in circa 500 appartamenti del progetto nelle frazioni aquilane di Sassa, Arischia, Cese di Preturo, Collebrincioni e Coppito.
Nel frattempo il Progetto C.A.S.E. coinvolto è diventato terra di nessuno: l’assenza di recinzioni e transenne lo pone alla mercé di chiunque voglia entrare da una delle tante porte e finestre aperte, sfondate se non del tutto divelte. Dopo la segnalazione dei residenti nella zona circostante di alcuni strani movimenti intorno alle C.A.S.E. è stato interdetto l’ingresso alle auto all’area anche perché le palazzine puntellate e abbandonate sono considerate anche pericolose, inquanto non si escludono atri crolli e si ventila la possibilità di doverle demolire.
Dopo aver analizzato termograficamente nell’ambito della campagna del 2012 sull’efficienza energetica degli edifici “Tutti in classe A” le 16 tipologie di edifici costruiti nell’ambito del progetto C.A.S.E. a L’Aquila, Legambiente ha rilevato che in 7 tipologie diverse di edifici sono presenti criticità rilevanti nella tenuta termica delle superfici opache esterne. Queste 7 tipologie e i relativi difetti riguardano ben 85 edifici localizzati nelle frazioni di Sant’Elia, Tempera, Bazzano, Paganica sud, Paganica 2, Roio Poggio, Assergi, Coppito, Sant’Antonio, Camarda, Gignano, Cese di Preturo. I tecnici di Legambiente hanno rilevato dalle termografie un isolamento non omogeneo delle superfici, con conseguente dispersione del calore. Da ciò ne deriva una distribuzione non uniforme delle temperature che variano tra i 3 e i 6 gradi, con particolari dispersioni in corrispondenza di pilastri, solai, balconi e nelle stesse superfici di tamponamento. Tutti problemi riconducibili a difetti di progettazione e di costruzione, di scelta dei materiali e di messa in posa.

 

Trasparenza e ricostruzione

«Nei primi due anni circa dopo il terremoto, imprese contigue alla mafia o possedute in prima persona da soggetti condannati per associazione mafiosa sono state passate al setaccio e sono state veramente tante. L’unica vera intrusione della ’ndrangheta e della camorra in Abruzzo si è avuta in seguito al terremoto. Cosa ovvia perché la criminalità organizzata si porta dove girano i soldi e gli appalti per la ricostruzione hanno costituito, almeno per i primi due anni dopo il sisma, un’occasione da non perdere.
Ma non si è trattato di imprese già presenti sul territorio, ma piuttosto di società saldamente impiantate nell’Italia settentrionale, attirate dagli appalti e dunque presenti in Abruzzo solo fino a quando erano prospettabili lucrosi guadagni». Sono queste le parole del sostituto procuratore nazionale antimafia Olga Capasso nella relazione annuale riferita al 2013. Da quella data le cronache locali e nazionali hanno riportato molti episodi di tentativi, più o meno riusciti, di infiltrazioni mafiose nella ricostruzione.
Il lavoro incessante di controllo delle forze dell’ordine, che vede in prima linea l’Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza e la Magistratura, non hanno purtroppo evitato che il malaffare si insinuasse in un territorio sostanzialmente vergine. Esponenti delle cosche di Reggio Calabria “Borghetto-Caridi-Zindato”, “Serraiano” e “Rosmini” e della ’ndrangheta facente capo al clan Grande Aracri, hanno da subito tentato di accaparrarsi appalti milionari, attraverso contatti e incontri con imprenditori abruzzesi e rappresentanti degli enti locali ed in alcuni casi ci sono riusciti. È arrivata infatti la prima condanna per reati di mafia legata alla ricostruzione post-sisma a L’Aquila. Il tribunale del capoluogo ha inflitto 7 anni di reclusione per concorso esterno al faccendiere Francesco Ielo, ritenuto un intermediario proprio della cosca Borghetto-Caridi-Zindato. Ma la mafia non è solo quella facente capo a nomi tristemente noti, ma è anche quella di imprenditori senza scrupoli, anche aquilani, che hanno ben appreso il “metodo mafioso” e sfruttano, vessano e ricattano gli operai impegnati nei cantieri, fino allo stremo. È quanto emerge dalla conclusione di una recente indagine condotta dai carabinieri della Direzione Distrettuale Antimafia di L’Aquila: 9 misure cautelari nei confronti di altrettanti imprenditori ritenuti a vario titolo responsabili di <<estorsione, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro>>.
Ma queste è cronaca di “alto livello”, avvenimenti che fanno notizia, cosa che invece non è per una miriade di altre truffe che i privati sono spesso costretti a subire quando si interfacciano con le ditte. È il caso di fatture false, firme fotocopiate, forniture non pagate perché le ditte sono fallite, piccoli artigiani che hanno anticipato le spese per piccoli lavori, al di sotto dei 40000€ e che poi non sono stati pagati. Tutto ciò si riverbera sui tempi di consegna dei cantieri e sulla qualità degli interventi. Uno scenario veramente disarmante, che cozza fortemente con le scintillanti dichiarazioni di chi vede L’Aquila ricostruita nel giro di qualche anno e lo considera il cantiere più grande d’Europa.

 

Ricostruzione sociale

È nelle condizioni peggiori che a volte si realizzano le cose più straordinarie: è a partire dall’alba del 6 aprile 2009 che l’Aquila ha tragicamente riacquistato fascino, valore e importanza a livello locale, nazionale ed internazionale. Siamo dovuti finire sulle testate giornalistiche delle principale emittenti italiane e mondiali per capire che davanti ai nostri occhi avevamo uno dei patrimoni artistico-culturali più importanti d’Italia. Questa, irruenta, drammatica presa di visione e coscienza ha reso la cittadinanza più partecipe ed interessata alle problematiche ma anche alle risorse di cui questa città ha sempre disposto.
Prima del sisma in città si è sempre stati restii a tirare su lo sguardo e a battersi per gli interessi della collettività. Si era troppo impegnati a correre nell’assordante routine quotidiana per scoprire quanto di bello si nascondesse nell’esplorare la nostra realtà culturale, sociale, artistica e paesaggistica attraverso l’impegno civile e l’associazionismo; oggi si è scoperta una cittadinanza più sensibile alle tematiche della collettività e alla valorizzazione delle risorse umane e culturali. Si è passati dalla, a volte dilagante, indifferenza alla perdita fisica ed emotiva per arrivare alla voglia di partecipazione ed autorganizzazione.
È in un contesto di prima emergenza che si sono venute a costituire le prime associazioni di volontariato, tese a garantire servizi di assistenza primaria alla popolazione (supporto psicologico, medico, assistenziale) per poi nel corso degli anni mantenere viva questa volontà di associazionismo volto alla valorizzazione culturale, ambientale, umana e paesaggistica aquilana.
Dati alla mano, le associazioni culturali censite dal comune dell’aquila sono 206(dati al 31/3/2014) di cui 42 nate dopo il sisma, riguardanti i più disparati settori: promozione culturale, formazione dei giovani, assistenza ai disabili, servizio civile, teatro, arte, musica, cinema, commercio equo-solidale, adozione, immigrazione, diritti civili, sport. La cultura, la voglia di ritrovare spazi condivisi, di ricostituire un tessuto sociale, ha fatto da collante identitario dando di nuovo un senso a parole quali “cittadinanza” e “società”.
L’obiettivo generale è creare un luoghi di aggregazione per tutta la cittadinanza capaci di contribuire alla rinascita del tessuto sociale e alla valorizzazione delle risorse artistico-culturali e paesaggistiche di una terra, ferita e martoriata ma in grado di offrire ancora bellezze, cultura, ospitalità.
È in tale clima che numerose associazioni si sono costituite ex-novo e tante altre, già esistenti pre-terremoto, si sono battute per la raccolta di fondi necessaria alla realizzazione delle sedi con l’obiettivo comune di far rivivere le esperienze di ogni singola associazione nella speranza di dar vita a nuove iniziative e progetti.
Una forma ormai diffusissima di associazionismo che ha preso piede anche ne L’Aquila post sisma sono i comitati. La partecipazione ai comitati all’inizio tende ad essere sollecitata attorno a specifici temi e le arene così istituite hanno una durata temporale limitata: si sciolgono, quando quello specifico processo viene portato a termine. Nel caso de L’Aquila i comitati svolgono ancora oggi un ruolo fondamentale nelle battaglie sulla ricostruzione nel tenere alta l’attenzione sulla richiesta dei cittadini di trasparenza.
Solo una minima parte degli spazi che ospitavano iniziative culturali in centro storico è tornare agibile nel post sisma. Alcuni di questi spazi sono sorti altrove. L’esigenza di avere spazi aggregativi e culturali è stata una delle prime necessità manifestata dagli aquilani dopo il sisma. Le strade del centro storico sono oggi deserte, ad esclusione degli operai che operano nei cantieri. Ma c’è comunque un luogo in cui il centro storico dell’Aquila, è già a ora percorribile e reale, ed è ironia della sorte sulla piazza virtuale.
Nella grande piazza di Facebook, ad esempio, dove quotidianamente si incontrano migliaia di aquilani e non che nel centro storico ci hanno vissuto e vorrebbero tornarci, ma anche giovani che non l’hanno vissuto e avrebbero voluto
C’è chi in queste pagine si abbandona ai ricordi di quelle piazze e viuzze che sembrano essersi dissolte in una notte di primavera, dopo un immenso boato, chi invece più pragmaticamente ragiona e discute su come ricostruirlo il centro storico, chi si scambia informazioni tecniche o cerca di organizzare consorzi di residenti in vista della ristrutturazione degli isolati, chi grazie alla rete riesce a mantenere vive le relazioni sociali, pur alloggiando in qualche albergo sperduto sulla costa o sulle montagne d’Abruzzo. E poi c’è la movida. Chiunque oggi voglia sapere cosa si fa a L’Aquila, dove e a che ora non cercherà più delle locandine, perché non ci sono piazze dove appenderle, ma cercherà su facebook.
Ora nella fase della ricostruzione i new-media come i social network possono diventare invece un prezioso strumento per rendere partecipate trasparenti le scelte, per mantenere vivi i rapporti di vicinato e il sentimento di cittadinanza presso migliaia di aquilani a cui toccherà in sorte un lungo esilio lontani dalla loro città.

 

PROPOSTE LEGAMBIENTE:

L’Aquila 2017 è ancora una città “in frammenti”, con strade chiuse, edifici e abitazioni transennati e ancora pericolanti, un centro storico che in molte sue parti è rimasto zona rossa. E tra una impalcatura e l’altra nascono arbusti ed erbacce. Tornare alla normalità sembra essere una sfida difficile, ma Legambiente crede nella rinascita di questa città. Una rinascita a 360 gradi legata ad una ricostruzione pulita ed ecosostenibile e che metta al centro i cittadini. A 8 anni dal sisma non è ancora stata realizzata una scuola in muratura e anche i servizi non sono dei migliori, per questo Legambiente chiede al Governo che sul problema delle scuole si definisca una task-force unica come si sta facendo per le 21 aree del cratere.

È, inoltre, importante razionalizzare l’uso del suolo e degli insediamenti, provvedere all’abbattimento delle edificazioni costruite nella prima fase post sisma. Panorami stravolti, campagne intere in cui spuntano come funghi, da Est a Ovest (anche a Preturo, Coppito, Sassa), case, baracche e ville nate come risposta immediata all’esigenza dei terremotati di avere un tetto sulla testa. “Casette dell’emergenza” che però oggi, a distanza di oltre sette anni dal terremoto, sono ancora lì. Alcune risultano completamente abusive e non segnalate, mentre altre sono nate addirittura in zone a rischio idrogeologico. Far rispettare le cubature preesistenti, eliminare gli abusi, vietare nuove cave, recuperando e riciclando le macerie e, con lo scarto non riutilizzabile, recuperare spazi degradati; elaborare un nuovo piano urbanistico che limiti il consumo di suolo.

In un contesto territoriale profondamente lacerato dal post sisma, alla ricerca di nuove linee strategiche sulle quali investire, il rilancio delle aree interne nell’anno dei Borghi, attraverso la riorganizzazione dei servizi di base e di un’offerta turistica di qualità, è la sfida da vincere per contribuire a rivitalizzare l’economia locale, anche attraverso il Distretto Turistico Gran Sasso che rappresenta il distretto più grande d’Italia (con circa 400 tra imprese, il Parco nazionale, le amministrazioni separate dei beni di uso civico e una sessantina di Comuni). Non si deve perdere di vista la Ricostruzione sociale legata a doppio filo con la ricostruzione materiale, è la linfa che riporta la vita nella città ricostruita. Rafforzare la credibilità dell’Ateneo Aquilano per far tornare a crescere il numero degli studenti e tutelare la generazione T, gli studenti che oggi popolano i Musp e che saranno, si spera, il futuro della città dell’Aquila; garantendo maggiori servizi sia a livello pratico, alloggi, trasporti spazi multimediali per le attività extra scolastiche, biblioteche, sia ampliando l’offerta culturale con iniziative e attività in grado di assicurare la crescita, informazione e conoscenza ai nostri giovani. La crisi economica, che sta ancora flagellando il paese, in modo amplificato si risente sul territorio danneggiato dal sisma; la disoccupazione è salita in modo esponenziale; le piccole e medie imprese hanno chiuso i battenti l’artigianato e i commercianti arrancano in tessuto che non permettere loro di sopravvivere. La scommessa dell’economia circolare, rilanciata anche dal nuovo pacchetto di misure europee, rappresenta la luce fuori dal tunnel con politiche di rilancio, finalizzate alla riduzione della disoccupazione e dello spopolamento, priorità che non possono più essere ignorate o affrontate con vecchi strumenti. Il tutto dentro la partecipazione che, oltre a garantire la condivisione delle scelte, sollecitino l’interesse dei cittadini per la vita pubblica.

 

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