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Ombrina: è (quasi) sicuro: si farà

Spiaggia

Dopo la decisione presa dalla Conferenza dei Servizi tenutasi alcuni giorni fa a Roma sembra proprio che Ombrina si farà. La richiesta di sospensione della regione Abruzzo è stata respinta e a nulla sono valse la legge regionale che vieta le attività petrolifere entro le 12 miglia dalla costa e la recente istituzione del Parco Marino della Costa dei Trabocchi. La linea governativa, sancita dal Decreto Sblocca Italia che assegna al governo nazionale il potere di concedere il nulla osta alle trivellazioni e alle attività estrattive, non si è quindi smentita nell’incontro, tenutosi presso la sede del Ministero per lo Sviluppo Economico, tra i rappresentanti della Regione Abruzzo e quelli del governo di Roma. A prescindere dal merito della questione, l’utilità o la pericolosità dell’opera, possono essere fatte alcune considerazioni. E’ evidente la volontà, sancita nello “Sblocca Italia” poc’anzi menzionato, in special modo nell’articolo 38, di accentrare a livello nazionale il ruolo di controllore e gestore delle attività estrattive, e la decisione presa riguardo Ombrina ne è quindi un logico portato. E’ altresì evidente la volontà del Governo Renzi di procedere per la propria strada nonostante il dissenso molte volte – ed è così nel nostro caso  – piuttosto forte e radicato sul territorio e che assume le sembianze di comitati, associazioni “No Triv” e si palesa nell’opposizione portata avanti dalle forze politiche e dagli Enti da queste amministrati, anche quando dello stesso colore politico del governo nazionale. Il decisionismo politico governativo è senz’altro conseguenza, o reazione, alla difficoltà conclamata che sorge in Italia riguardo la realizzazione delle opere pubbliche, che si tratti delle grandi opere, per usare un’espressione berlusconiana, o, in generale, di opere pubbliche destinate fatalmente ad avere un impatto sul territorio che le ospita. Spesso la realizzazione di infrastrutture anche di natura strategica è ostacolata da opposizioni più o meno localizzate sul territorio, ma anche da beghe legate ai conflitti di competenze, alle pastoie burocratiche e ai ricorsi e contenziosi di vario tipo che tanti, forse troppi soggetti, sono autorizzati a portare avanti. A questo poi va aggiunta l’inevitabile tendenza italiana a “fare la cresta” sulle opere (e forniture) pubbliche da parte di imprenditori, funzionari e politici senza scrupoli, come dimostrano i vari scandali legati alla corruzione che spuntano come funghi. Con quali conseguenze? Opere pubbliche che vengono realizzate in tempi biblici e con costi faraonici, superiori nettamente (sia i tempi che i costi) a quanto preventivato. Realizzazioni mediocri o scadenti, come dimostrano i cedimenti di certe opere da poco (o da pochissimo) realizzate. Oppure la realizzazione di autentiche cattedrali nel deserto inutili o, meglio ancora, incomplete, i cui lavori termineranno forse un giorno forse mai. Tanto paga Pantalone, con che bei risultati bè, questo è evidente. Si aggiunga a questo l’eccessivo numero di centri appaltanti e decisionali dovuti anche a certe riforme come quella del Titolo V della costituzione che, attribuendo certi poteri alle regioni, ha favorito sovrapposizioni e attriti, come è evidente nell’ambito di certe infrastrutture, come ad esempio quelle legate alla produzione e al trasporto dell’energia. Si sta tentando in qualche modo di porre rimedio a questo stato di cose riformando le normative sugli appalti pubblici e le competenze delle regioni, prevedendo sostanzialmente un ritorno allo stato di certe materie, soprattutto dove è necessario operare in un’ottica di livello nazionale. La decisione di andare avanti su Ombrina, quindi, è un segnale esplicito di questa volontà. Detto questo è bene soffermarci sulla natura del dissenso su questa infrastruttura. L’opposizione in questo caso è dovuta a motivi di carattere chiaramente ambientale; si teme che una piattaforma petrolifera subito al largo del costituendo parco marino e della costa possa presentare dei rischi per l’ecosistema della nostra regione, soprattutto delle città costiere. Va detto che si riscontra ormai un’avversione anche per altre opere come gasdotti o elettrodotti, o centrali di vaio tipo, in Abruzzo come altrove. Sindrome NIMBY o coscienza ambientale? Forse un po’ l’una un po’ l’altra. Certo è che spesso contro le infrastrutture, grandi o piccole che siano, si scatena un’opposizione di carattere ideologico che può oggettivamente nuocere alla modernizzazione di un paese, soprattutto da parte dei residenti nelle zone che ospiteranno dette strutture, altrettanto vero è però che oggi, più che nei decenni scorsi, sono note le conseguenze della cementificazione selvaggia, dell’inquinamento elettromagnetico, da diossina o da amianto. Nel corso degli ultimi decenni è maturata senz’altro una coscienza ambientale basata sulla constatazione del prezzo, sempre più alto, che il progresso ci ha imposto in termini ambientali. Tornando alle trivellazioni, sono da fare o no? Se si tiene conto delle necessità energetiche del nostro Paese è evidente che l’energia in qualche modo bisogna pur produrla. In quest’ottica il petrolio che si trova negli abissi marini può essere un’utile risorsa per un paese non molto ricco di risorse minerarie come è il nostro. Se però si valutano i rischi per l’ambiente è non meno evidente che l’attività estrattiva ha un certo impatto sulle aree dove viene praticata e su quelle circostanti, e che, in caso di incidenti e/o perdite di petrolio da una piattaforma estrattiva situata a pochi chilometri dalla riva, per il nostro mare il colpo potrebbe essere mortale. Non si può tra l’altro non notare che, finché non arriveremo ad un modello di sviluppo complessivamente basato su fonti energetiche rinnovabili e a basso impatto ambientale, le varie Ombrina rischiano concretamente di essere il prezzo che bisognerà pagare affinché la luce si accenda e l’automobile parta e, in caso di incidenti, questo prezzo sarà piuttosto alto. Dopo la decisione presa a Roma è molto probabile che la piattaforma si farà, anche se chi si oppone non si da per vinto. Da parte del coordinamento No Ombrina, infatti, è stata resa nota la volontà di  “ribaltare il risultato presentando esposti e ricorsi in tutte le sedi, dalla Giustizia penale a quella amministrativa passando per la Commissione Europea”. Nel frattempo il fronte “No Triv”, comprendente varie associazioni ma appoggiato anche da settori significativi del mondo politico e sindacale, ha dichiarato di voler andare ad un “Referendum No Triv” capace di fermare definitivamente le trivelle. In ogni caso, nell’immediato solo un ripensamento del governo, o un pronunciamento del Tar che dia ragione ai ricorrenti – che non mancheranno – sembra in grado di impedire che i lavori procedano.

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